Scapigliati, che sfiga / 3

La piccola galleria di sfortune scapigliate si chiude con una artista che ha lasciato segni indelebili in città, in piazza Beccaria e soprattutto in piazza Cinque Giornate.

Amico di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, con i quali divideva la statura non proprio cograndi-ritlossale (si autodefinivano La Trinità dei Nani Giganti…), Giuseppe Grandi è ora considerato uno dei grandi della scultura ottocentesca, ma in vita non fu una star. Anzi, qualche sua opera ricevette anche  sonore stroncature. Fedele all’ideale scapigliato dell’arte come mezzo “civile”, come strumento di partecipazione politica, inviò i suoi progetti a molti concorsi per opere pubbliche, aggiudicandosene però, in pratica, solo due: il monumento a Cesare Beccaria (iniziativa nata dalla campagna di Cronaca Grigia, il giornale di Cletto Arrighi, per chiedere l’abolizione della pena di morte) e quello alle Cinque Giornate di Milano, il suo capolavoro.

5gior
Giuseppe Grandi – Monumento alle Cinque Giornate di Milano (1894), particolare: Seconda e Terza Giornata

Il clistere del leone. Il monumento alle Cinque Giornate, nell’omonima piazza, segnò un punto di svolta nella scultura italiana, la liberò. Per realizzarla Grandi non badò a spese e stravaganze. Affittò uno studio (nell’attuale via Corridoni) affianco alla piazza che l’avrebbe ospitata e, siccome il progetto prevedeva un’aquila e un leone, si procurò un’aquila e un leone (che andò a di persona a prendere in uno zoo di Amburgo). In particolare intorno al felino, chiamato Borleo,

Borleo
Il leone Borleo, simbolo del popolo che si risveglia (dopo un clistere coatto, però)
terza
La Terza Giornata (dopo la disperazione, arriva la rabbia)

fiorirono una serie di leggende metropolitane, la più nota delle quali riguarda un rudimentale clistere che gli fu praticato a più mani per riaccendere la ferocia sopita da tanti anni di gabbia, e rendere la sua raffigurazione più realistica. Reclutò anche cinque modelle (anche su di loro fiorirono leggende) per rappresentare, appunto, le cinque diverse giornate che sconvolsero Milano, e l’Italia, e che ebbero proprio nell’attuale piazza (un tempo porta Tosa) il centro nevralgico  (molte delle vie intorno sono infatti intitolate agli eroi di quella rivolta, partita, in pochi se lo ricordano, con uno sciopero davvero singolare, quello del fumo. Le imposte sul tabacco se le beccano gli austriaci? Bene, noi non fumiamo più). Ne venne fuori un monumento mozzafiato: “nascosto” nella forma del classico obelisco c’è infatti un turbine di movimento, c’è la rabbia, la tragedia, la forza travolgente del popolo e, infine, la vittoria. (Personalmente la mia preferita è la terza giornata, quella che con un’aria perfettamente milanese sembra dire: Dai, cristo! Facciamogli il culo a sti crucchi!).

Purtroppo il povero Giuseppe non vide mai l’opera inaugurata. Ritardi nei lavori di sistemazione della piazza  (che di fatto nacque intorno al monumento) e la crisi nella giunta ritardarono l’inaugurazione e, in perfetto stile scapigliato, Grandi morì – accudito dalla sorella nella natia Ganna, in provincia di Varese – il 30 novembre del 1894. L’attuale monumento e la piazza vennero inaugurate nel marzo del 1895. Tre mesi dopo.

Per i feticisti di Tripadvisor – Si narra che il giovane squattrinato Giuseppe Grandi fosse solito mangiare in un’osteria della zona Garibaldi che, di fatto, aveva come competitor la mensa per i poveri e la cui specialità – pare – fosse la minestra. Una vera prelibatezza che lo stesso Grandi racconta così: «Tutto il brodo ivi smaltito proveniva da una testa d’asino messa a bollire da quattro anni in una vasta pentola. In quei quattro anni, ben cinque padroni si erano arricchiti, uno dopo l’altro, col brodo di quella testa!».

Lascia un commento