Per farsi un’idea degli animali protagonisti dei libri che leggono fin dalla primissima infanzia, i bambini milanesi adesso vanno nelle ultime fattorie rimaste intorno alla città (che infatti, in molti casi sono diventate anche fattorie didattiche). Fino agli anni 80 invece il contatto con gli animali avveniva nello zoo cittadino, il Giardino Zoologico di Porta Venezia. Dove l’attrazione principale era un elefante indiano con gli occhiali capace, con la proboscide, di suonare un organetto e, sempre con la proboscide, raccogliere le monetine degli spettatori. Per consegnarle poi nelle mani di Pasquale, il suo custode-domatore (sostituito negli ultimi anni da Bruno).
Animali al lavoro – Quelli che adesso si chiamano Giardini Indro Montanelli (anche se nessuno li chiama così), fino agli anni 80, ospitavano uno zoo. C’era insomma una sorta di strana sinergia: davanti il Museo di Storia Naturale, dietro lo zoo. E insieme a quello, dentro quello, il circo. Già, perché gli animali in quello zoo non si limitavano a bivaccare nelle piccole gabbie, no. Loro, di fatto,nello zoo ci lavoravano. Si davano da fare. Giraffe, scimmie (la più famosa si chiamava Giovanni), pinguini, otarie, erano lì anche per dare spettacolo.
Uno spettacolo la cui star era lei: Bombay, l’elefantessa indiana arrivata a Milano cucciola, nel 1932. E morta praticamente insieme allo zoo nel 1987. (Si può ancora osservare in uno dei diorami del Museo di Storia Naturale: è l’elefantessa che lava la schiena di un cucciolo mentre un rinoceronte si avvicina. Scena che, in vita, neanche nel più sfrenato dei suoi sogni, può aver immaginato).
Noccioline o monetine – Bombay era di fatto un animale da circo. Obbediva ai comandi. Sapeva stare in equilibrio sullo sgabello e, mentre lo faceva, raccoglieva dei pesi via via più pesanti con la proboscide. Camminava su piccole piattaforme grandi poco più di scodelle. Stava in equilibrio su un asse e su due zampe. Ma la cosa che mandava in delirio i bambini che affollavano il suo recinto era quando le venivano messi dei buffi occhiali di cartone, che le pendevano sulla testa, e girava la manovella dell’organetto con la proboscide tenendo il tempo con la zampa poggiata su un rudimentale charleston. C’era un momento di silenzioso stupore, poi i bambini ridevano e gridavano entusiasti. Era anche in grado di girare la pagina dello spartito. Alla fine dell’esibizione si avvicinava al pubblico (sempre sotto la vigile presenza del custode), dalle grosse sbarre di ferro sbucava la sua proboscide, diretta alle mani degli spettatori. Che contevano noccioline (affianco c’era il rivenditore) oppure qualche spicciolo. Bombay era in grado di aspirare solo la nocciolina e recapitare invece la moneta nella mano del domatore. Tutto tra grandi applausi. Ogni tanto girava, con la proboscide, un cartello attaccato al muro con scritto “Attenzione ai borsaioli”.
500 – Bombay lavorò nei giardini di Porta Venezia per quasi mezzo secolo. Nel 1987 morì e negli ultimi anni non doveva essere una grande spettacolo. Era rimasta quasi solo lei. Gli altri animali o erano morti o erano stati ceduti a strutture più adatte. In ogni ricordo dello zoo ricorre sempre l’espressione “gabbie troppo piccole”. Ed in effetti negli anni del massimo splendore, gli anni 60, c’erano circa 500 animali su neanche 20mila metri quadri di superficie totale (compresi cioè edifici e sentieri). I calcoli sono presto fatti e dicono che lo spazio era troppo poco. Negli anni 80 il movimento animalista crebbe e con lui la sensibilità delle persone sulla condizione degli animali. (C’era anche molta più tv e la gita domenicale allo zoo era ormai un po’ superata…).
Bombay è ancora qui – Tre anni dopo la morte di Bombay lo zoo chiuse per sempre. Lei fu impagliata (a dire il vero, solo la parte superiore: la parte inferiore venne cremata e le sue ceneri sistemate in un grande bottiglione da olio sistemato nella sua vecchia gabbia. Un cartello diceva “Le ceneri di Bombay”. Affianco una piccola fotografia e un altro cartello “Il personale rende omaggio a Bombay”) e messa nel museo di Storia Naturale. Nella sala “Foreste equatoriali e ambienti umidi tropicali”. La didascalia affianco alla sua vetrina racconta del Kaziranga National Park nell’India nord occidentale, un’area di 430 chilometri quadrati compresa tra il fiume Brahmaputra e le colline Mikir, tra Bangladesh e Myanmar (nella cartina il Bangladesh viene indicato per errore come Pakistan). Dell’elefante indiano viene spiegato che «Gli esemplari del Kaziranga, come diverse altre specie in grado di compiere lunghi spostamenti, all’arrivo del monsone estivo si portano verso Sud, fino alle colline Mikir e anche oltre, per evitare le inondazioni che interessano le pianure». Suona piuttosto ironico per un animale che, in pratica, passò la sua vita in un monolocale con piccolo giardino annesso. Più sotto si legge «La femmina adulta qui presentata è la celebre Bombay, vissuta allo zoo di Milano fino al 1988». (Un altro errore…).
Deperiva a vista d’occhio – Per capire quanto Bombay fosse ormai organica allo zoo, o meglio, quanto lo zoo fosse organico in Bombay ecco la testimonianza del naturalista Renato Massa, nel suo “Il pappagallo dal ventre arancio”. Parlando del funerale di Arduino Terni, l’avventuroso direttore dello zoo e grande procacciatore di animali esotici (tra i quali la stessa Bombay), racconta: «Ricordo soprattutto le sincere parole di stima e amicizia del dottor David Taylor, il veterinario londinese che per anni aveva curato gli animali dello zoo di Milano […]. Mi ricordò una delle sue ultime visite a Milano: Terni lo aveva chiamato per l’elefantessa Bombay, che deperiva a vista d’occhio nella tristezza dello zoo svuotato, del suo guardiano scomparso e del suo spettacolino musicale interrotto per sempre dopo quarant’anni di onorato servizio».
Su Bombay e le storie che si porta ancora sulle spalle esiste anche uno Spettacolo teatrale, andato in scena al Teatro Oscar di Milano nell’ottobre del 2015 e replicato a Lione nel marzo del 2016.