Scapigliati, che sfiga

La Scapigliatura è uno dei movimenti artistici e culturali più importanti di tutta la storia milanese. E fa un certo effetto pensare a quanto dei giovani idealisti, spesso squattrinati, molto spesso alticci, abbiano lasciato segni tanto profondi in città. Superando, oltretutto,  anche una dose di sfortuna davvero letale, una specie di maledizione.

Questo è il primo di una piccola galleria di eroi scapigliati, tanto geniali, quanto sfigati.

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Tranquillo Cremona – L’edera (1878). Galleria d’Arte Moderna di Torino

(Molto poco) Tranquillo. Il bello della Scapigliatura fu anche la sua varietà. Poeti, giornalisti, scultori, architetti, pittori, geniali cazzeggiatori da bar e semplici perdigiorno. Uno molto conosciuto tra gli scapigliati che si trovavano a buttar giù bianchini e parlare di arte e politica al Polpetta (non quello “moderno” in via Eustachi, ma l’osteria che sorgeva all’angolo tra via Conservatorio e corso Monforte) o tra le “ortaglie” di via Vivaio era un pittore, tanto bravo quanto spiantato:  Tranquillo Cremona.

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Tranquillo Cremona – Ritratto di Carlo Dossi (1867)

Originario di Pavia (fratello del matematico/senatore Luigi Cremona (la cui prima opera Sulle tangenti sfero-coniugate, risulta essere di stringente attualità in Regione Lombardia…), Tranquillo si afferma a Milano con una sorta di manierismo impressionista (definizione usata giusto per intendersi, visto che in realtà esisteva una scuola Cremona. Emilio De Marchi, nel suo “Demetrio Pianelli”, parlando dei lussi – a credito – in casa del Lord Cosmetico cita anche un quadro: «[…] In una cornice d’oro ovale spiccava un grande ritratto ad olio di Beatrice, opera d’uno scolaro del Cremona […]». Il romanzo di De Marchi è del 1890: Cremona era quindi morto da 12 anni, ma era ancora una presenza viva e attiva in città). A dire il vero, “si afferma” non è proprio un’espressione adatta, visto che il circuito ufficiale dell’arte non lo considera. Un disinteresse, del resto, reciproco. Visto che, racconta chi lo conobbe, più che le gallerie d’arte e i musei, frequentava le osterie. Insomma, non era proprio quello che si dice un artista di successo. Soldi ne alzava pochi e quei pochi di solito finivano in un fiasco di vino o nei carissimi sigari cubani che amava. Le cose parvero svoltare nel 1874, dopo che Brera si accorse di lui e lo nominò socio onorario. Arrivò poi la nomina a direttore della scuola d’arte di Pavia. Insomma, non era più il drop out di sempre. Oltretutto nel 1877 morì il fratellastro Giuseppe, che gli lasciò una discreta eredità. Soldi destinati a dargli quella tranquillità economica inseguita per una vita. Soldi (e nuovo status) che però non riuscì mai a godersi, visto che si morì l’anno dopo, vittima della sua stessa arte.

Bianco assassino. Come si vede dai due quadri qui sopra, Tranquillo era una specie di virtuoso della biacca. Quella luce così vaporosa, da sogno appena svanito, la otteneva proprio grazie all’utilizzo del bianco. E a un trucco. Molto poco accademico. Lo stendeva con le dita. Adesso per fare il bianco si utilizza il biossido di titanio, purtroppo per Tranquillo invece, fino all’inizio del 900 si utilizzava il carbonato basico di piombo, una sostanza tossica ora fuorilegge. Il contatto diretto prolungato con questa sostanza lo fece ammalare di saturnismo (una singolare malattia professionale che accomuna pittori – Goya e Van Gogh, per fare due esempi – e benzinai).  Fu proprio durante un attacco dovuto alla malattia che morì il 10 giugno del 1878: aveva da poco finito la sua opera più celebre, L’edera, in cui il bianco (assassino) è il grande protagonista.

 

 

 

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