Lo dice anche la Lonely Planet “Milano e Lombardia”:
«Se da corso Venezia girate per via Serbelloni e poi su via dei Cappuccini, al civico 3 c’è Villa Invernizzi. È chiusa al pubblico, ma potrete curiosare oltre il cancello e vedrete alcuni fantastici fenicotteri rosa: saranno una visione quasi mistica».
Ed è proprio così. Questa colonia di fenicotteri rosa e fenicotteri cileni se la gioca, in quanto ad attrattività turistica, con la prestigiosa Villa Necchi Campiglio e l’orecchio citofono di via Serbelloni. È una delle tappe obbligate per chi si trova a girovagare tra i bellissimi palazzi del quadrilatero del silenzio (quella manciata di vie tra via Vivaio e Corso Venezia).
Il re dei formaggi – A portare nel centro di Milano questi bellissimi animali fu, nel 1979, Romeo Invernizzi, patron di uno dei pilastri dell’industria alimentare italiana, nonché ideatore – insieme la fratello – di un nuovo, rivoluzionario (per l’Italia), tipo di comunicazione pubblicitaria, fatta di personaggi e gadget (che inventava lui direttamente o l’agenzia pubblicitaria interna che, sempre lui, aveva messo in piedi). Ad iniziare dalla Mucca Carolina.
È a colpi di réclame come queste (e come quelle della piccola Susanna tutta panna), che Invernizzi cercò di battere lo storico concorrente Galbani. Una rivalità che nasceva da lontano quella tra i due formaggiai più importanti d’Italia. Invernizzi, originario di Pasturo, in Valsassina (Galbani era di Ballabio, a pochi chilometri), quando decise di ingrandire l’attività, tra tutti i posti che poteva scegliere, andò ad aprire uno stabilimento proprio a Melzo, alle porte di Milano, a pochi metri da quello del rivale (dove si produceva il Belpaese), inaugurato da pochi anni (nel 1910).
Il contadino va in città – La vera formazione di Romeo Invernizzi – lo raccontava lui stesso – fu nei campi e nelle stalle. Dove accudiva le mucche. E la terra, gli animali, gli rimasero attaccati sempre, anche quando iniziò a fare montagne di soldi. Così, negli anni 50, quando acquistò la principesca tenuta di Trenzanesio, vicino a Melzo, si circondò di quattrocento ettari di verde e ci mise animali selvatici e piante rare. Quel paradiso alle porte di Milano (in parte deturpato dai cantieri della Brebemi) era però un po’ troppo isolato, soprattutto alla luce delle notizie di rapimenti di uomini facoltosi che, dalla metà degli anni 70, divennero sempre più frequenti. Generando una paura che, nel 1975, Ugo Bologna e Alberto Sordi raccontarono così.

Per evitare i rischi legati all’isolamento e, chissà, forse per una nuova voglia di mondanità, Romeo e sua moglie Enrica si trasferirono a Milano. E siccome non era il caso di stare lì a fare i pidocchi, acquistarono ben due palazzi tutti interi in una delle zone più signorili della città. Uno lo buttarono giù in modo da poter realizzare un ampio giardino. E nel giardino, dopo la costruzione di una piccola piscina, ci misero una delle specie più belle ed eleganti: i fenicotteri. Un po’ dall’Africa (i più grossi), un po’ dal Cile. (Appena in tempo, perché nel 1980 l’Italia aderì alla Convezione Cites sul commercio di animali esotici, e le cose sarebbero potute andare diversamente).
Senza eredi – La nuova vita milanese sembra piacere agli Invernizzi. Frequentano i Falck e i Rizzoli (pare che le proiezioni domenicali nella grande sala cinema del palazzo di corso Venezia – riservate a pochissimi eletti – fossero uno degli eventi più agognati dai miliardari milanesi dei primi anni 80). Si fanno notare per il mecenatismo e la filantropia. Nel 1982 il direttore commerciale dell’azienda, il cugino Remo, si ammala. Deve mollare le redini. Romeo è vicino agli 80. E non ha figli. Li avrebbe voluti ma non sono arrivati. E le offerte per rilevare il colosso da 600 miliardi (di lire) di fatturato si moltiplicano. Alla fine – è il 1985 – di fronte alla proposta irrifiutabile dell’americana Kraft la decisione viene presa: vendere. La cifra ufficiale non è mai stata divulgata, la “base” comunque fu intorno ai 100 miliardi di lire, ai quali si aggiunse un misterioso conguaglio dopo i controlli contabili (del resto, lo stesso Remo Invernizzi si vantava del fatto che in ottant’anni di attività l’azienda aveva chiuso in rosso una sola volta, nel 1947). Remo – spiegò nella conferenza stampa – avrebbe anche rifiutato l’offerta degli americani, ma proprio non poteva: né lui, né Romeo (che comunque aveva l’80% delle azioni) avevano figli maschi. Lui, in particolare, aveva «solo figlie femmine». Cinque. Tutte tenute a distanza dall’azienda. «Tutte e cinque – disse ai giornalisti in quel giugno dell’85 – hanno studiato per diventare maestre di scuola, prima in Inghilterra e poi in Francia. Adesso sono felicemente sposate. Non è meglio così?». (Dal 2003 Invernizzi è fa parte, come tutte le grandi aziende del settore lattiero-caseario, al gruppo francese Lactalis).
I fenicotteri, si diceva – Se lo “sbirciatore” del giardino di villa Invernizzi è un bambino, una delle possibili domande che l’incauto genitore si sentirà rivolgere è: «Ma perché non volano via?». L’incauto genitore scaverà velocemente nel reparto della sua mente denominato “spiegazioni innocue che non compromettono gli innocenti sogni di un povero fanciullo”. E produrrà una risposta tipo questa: «Perché qui stanno bene. Guarda che bel giardino». La realtà purtroppo è un po’ diversa.
In effetti i fenicotteri – rimasti orfani del cavalier Romeo nel 2004 (che però dedicò loro un capitolo a parte del corposo testamento) – non ci misero molto ad adattarsi. Anzi, lasciata libera di riprodursi, la colonia crebbe a dismisura, tanto che metà degli esemplari vennero regalati alla zoo di Lignano Sabbiadoro. Ma la spiegazione è meno romantica di quello che possa sembrare.
Mandate a letto i bambini – I fenicotteri sembra siano una delle specie di uccelli più antiche (ci sono loro fossili che risalgono a oltre 40 milioni di anni fa), anche se il loro percorso evolutivo resta ancora un mistero. Possono raggiungere un’altezza di 180 cm e un’apertura alare di 150. Nonostante queste dimensioni sono molto leggeri: in natura, al massimo, arrivano a quattro chili e mezzo. Questo perché devono affrontare lunghi, lunghissimi, viaggi. Sono uccelli migratori. Una delle loro specialità è fare migliaia di chilometri. Di notte. Pare infatti che gran parte delle migrazioni avvenga con il buio (e il fresco), utilizzando come mappa quindi non quello che si vede a terra, bensì quello che si vede nelle stelle.
Ci sono fenicotteri rosa in Africa settentrionale e meridionale, in India, Pakistan e Afghanistan e in Europa (Francia, Spagna e Italia, soprattutto). Secondo alcuni studiosi, vista la loro incredibile capacità di compiere lunghe distanze, la popolazione mondiale dei fenicotteri rosa è in realtà un’unica grande comunità, con varie piccole comunità locali interconnesse tra loro.
Hanno una capacità di adattamento davvero unica. Preferiscono grandi distese fangose e saline costiere, ma possono riprodursi e vivere anche in habitat inospitali, poveri di vegetazione. Possono essere presenti anche presso acque ricche di carbonato di calcio, cloro, cloruro e solfati, e con temperature che superano i 68° C. Ma è stata osservata una colonia di fenicotteri rosa intorno al lago di Dasht-e-Nawar, in Afghanistan, a circa 3.100 metri di altitudine. In Europa è famosa l’enorme colonia – circa 25mila esemplari – che d’estate affolla la Camargue, in Costa Azzurra.
Questa capacità di adattarsi – oltre alla grande resistenza fisica – è dovuta al sofisticato sistema di filtraggio, attraverso le lamelle del becco.

Un sistema che gli permette, in caso di necessità, di mangiare addirittura direttamente il fango ricavandone comunque le sostanze nutritive di cui hanno bisogno. Normalmente però preferiscono crostacei e alghe.
Di norma, insomma, preferiscono starsene un po’ a mollo in zone paludose (meglio se di acqua salata) e poi farsi grandi traversate continentali tra Europa, Africa e India. Ma non a caso sono animali che abitano questo pianeta da molto prima che i primati provassero a camminare su due zampe. Sanno adattarsi all’habitat.
Soprattutto se sono costretti a farlo. Ci sono infatti due precise tecniche chirurgiche per garantire che un fenicottero si affezioni a un posto, o comunque non cerchi di andarsene: il pinioning e il feather clipping. Il primo è l’amputazione definitiva delle penne di un’ala a livello dell’articolazione carpale, in modo da rimuovere la base su cui crescono le remiganti primarie (quelle che permettono di volare). Il secondo è il taglio periodico di una parte delle penne remiganti dell’ala sinistra. Nel primo caso l’uccello non è più in grado di volare, la seconda tecnica invece inibisce il volo rendendo impossibile il decollo e incontrollabile la fase aerea. Generalmente in Italia si utilizza la prima tecnica, ma i fenicotteri del Cavalier Romeo sono più fortunati (chissà, se era una delle clausole del testamento?), si beccano il clipping. Se l’incauto genitore che sbircia il giardino insieme al figliolo curioso volesse essere sincero, dovrebbe quindi usare la spiegazione che fornì, qualche anno fa, a Repubblica lo stesso veterinario che se ne occupa: «Ovviamente teniamo regolata la lunghezza delle loro penne alari, in modo da rendere impossibile il decollo».
Eggià, evidentemente era destino che un’eroica epopea industriale, partita da un paesino della Valsassina, finisse con la più classica delle storie di ali tarpate.

Robiolina per concludere – Siccome l’immagine di un uccello con le penne tagliate mette un po’ tristezza, corriamo subito ai ripari: pare che la consorte di Romeo, la signora Enrica, in azienda venisse chiamata Robiolina. E ai posteri, chissà perché, è stata tramandata anche la tradizione natalizia dei coniugi Invernizzi. Raccontò Lina Sotis sul Corriere nel dicembre del 2005:
«Il 24 sera, sotto l’albero, la signora trovava un gioiello che andava a irrobustire la sua collezione di preziosi, ma il vero Gesù bambino
arrivava la mattina del 25 con la prima colazione. Ciondolante, sulle sue quattro zampe, arrivava Din, il cane dalmata della Robiolina (così veniva chiamata in società la signora) con un grosso fiocco rosso che gli pendeva dal collo sul quale era attaccata una busta. Il plico conteneva l’indirizzo e il numero civico dell’immobile che l’innamoratissimo marito Romeo regalava alla mogliettina».