Rimasti a corto di argomenti calcistici, in questi ultimi due mesi i milanesi si sono buttati sul rapporto tra arte e epistemologia, così in quasi tutti bar, al posto di patetici terzini e imbolsiti centravanti, si parla di lui: il robot dell’artista anglopolacca Goshka Macuga.
Se ne parla talmente tanto che nella sala della Fondazione Prada che lo ospita è possibile (soprattutto nei weekend e soprattutto in questi giorni di Salone del Mobile, durante i quali l’ingresso è gratuito) imbattersi in piccole folle di spettatori entusiasti assorti nella sua contemplazione.
I giudizi sull’opera sono pressoché unanimi: è un capolavoro. Capace di proiettere lo spettatore in una nuova, inquietante, dimensione in cui gli automi ci spiegheranno la filosofia. In cui i robot ci insegneranno, di fatto, a vivere. E lo faranno senza spargimento di sangue. Saremo noi ad averli pregati di farlo, noi li avremo implorati di darci una parola chiara, non contaminata, su questa assurdità incomprensibile che chiamiamo vita. Insomma, roba tosta.
Il caso (sempre che esista davvero) vuole però che a Milano ci sia già un automa che, in pratica, fa le stesse cose. E che ha ben 350 anni. È l’Automa-Demonio di Manfredo Settala, conservato nel Museo di Arti Applicate del Castello Sforzesco. L’ha assemblato, appunto, il più stravagante discendente dei Settala (famiglia che vanta, tra gli altri, scienziati e santi), l’Archimede di Porta Romana, intorno alla metà del 600.

Ecco quindi un imparziale confronto tra i due automi, sulla base di alcune categorie oggettive (oggettivissime). Per comodità chiameremo il robot della Fondazione Prada Nunzio, mentre chiameremo il demonio del Castello Peppino – vista la somiglianza con lui
Tecnologia. Pareggio: 1-1. Nunzio (realizzato in Giappone da A Lab), passa per un manufatto ad altissimo contenuto tecnologico: è azionato da un computer che stabilisce il flusso dei suoi discorsi e regola il sincrono tra suono, movimento della bocca e mimica. Osservandolo bene però, soprattutto di lato, il “trucco” si svela quasi subito, riducendo l’opera a una sorta di marionetta hi-tech. Il demonio del Castello Sforzesco è invece azionato da una manovella collegata ad ingranaggi, pulegge, un’elica e un soffietto posteriore. Quale sia il reale movimento che produce il meccanismo però non è dato saperlo con precisione, visto che nessuno lo aziona da anni e ci si deve basare su vecchie descrizioni scritte.
Come quella di Charles de Brosses del 1739: «Un cassettone dal quale esce all’improvviso una spaventosa faccia di demonio che si mette a sghignazzare, a cacciare la lingua e a sputare in faccia ai presenti».
Estetica. Non c’è partita. Peppino vince 3-0. Lo spolverino di plastica di Nunzio infatti sarà anche una citazione di Bladerunner, ma proprio non si può vedere. Il volto poi – plasmato su quello del fidanzato di Goshka -, a parte la scarsa intelligenza che denota, è piuttosto anonimo. Un po’ più interessante è quell’aspetto da prototipo non finito che lo fa apparire come messo lì quasi per caso, in attesa di essere completato (pare, comunque che sia davvero in attesa di essere completato). Restano un mistero indecifrabile le calzature: sul piede destro una specie di pantofola di schiuma espansa rosa (potrebbe rappresentare un cervello ma anche la materia utilizzata per i marshmallow, o tutti e due), sul sinistro un rudimentale zoccolo olandese. Il tutto è comunque ben poca cosa rispetto al fascino di Peppino. La faccia satanica – in realtà da demonio avvinazzato, un caso di possessione in osteria – è montata su un corpo ligneo di «pregevole fattura», probabilmente un Cristo alla colonna (ed effettivamente la posa delle braccia, la tensione dei muscoli, la torsione del busto richiama un po’ quello del Bramante, conservato a Brera). E poi l’ingranaggio in bella vista, così semplice, così misterioso, così carico di possibilità.

Messaggio. Anche qui Peppino stravince. 3-1. È vero, parlare di messaggio nell’arte, soprattutto in quella contemporanea, è volgare, retrogrado, criminale. Del resto, il robot di Goshka fa in pratica una cosa sola: parla. Anzi, declama (nel modo un po’ ridicolo della marionetta) «senza sosta un monologo composto da numerosi frammenti di discorsi elaborati da grandi pensatori».


Da Mikhail Gorbaciov («Immanuel Kant ha profetizzato che un giorno l’umanità si sarebbe trovata a un bivio: coalizzarsi in una vera unione delle nazioni o perire in una guerra di annientamento») a Friedrich Nietzsche, passando per Hanna Arendt («Dovremmo aver paura di noi stessi perché siamo capaci di fare più di quanto riusciamo a immaginare»). Il tutto in inglese, a un volume piuttosto basso (per lo meno per un ambiente come quello del Podium) e di fronte a un’opera di Thomas Heatherwick (Extrusion), che funge da rumorosissima panchina di lamiera (e chissà cosa ne pensa il povero Thomas…). Il monologo risulta quindi, in definitiva, incomprensibile. La domanda che l’addetto alla sorveglianza dell’opera si sente infatti ripetere più spesso è: cosa dice? Il caro Nunzio potrebbe tranquillamente leggere il menu di un ristorante o il bugiardino del Maalox, l’effetto sarebbe lo stesso. E forse l’interessante è proprio questo: non la “lezione” in se, quanto piuttosto la suggestione, la nostra incapacità di resistergli, la nostra sottomissione. Ma, ancora una volta, l’opera in legno e ferro di Settala stravince il confronto. Anche il suo è infatti un messaggio solo potenziale (nessuno in realtà sa se funzioni ancora) anche se, in base alle testimonianze, sappiamo che potrebbe produrre uno sghignazzo, fare la linguaccia e sputare sugli spettatori. Quale sia la vera “anima” di una macchina è quindi molto più evidente in quest’opera. La burla è in realtà solo un travestimento, un depistaggio. Anche perché, è bene ricordarlo, stiamo parlando di una testa di demonio montata su un cristo alla colonna (che, nella Bibbia, è il momento del processo a Gesù, nonché l’inizio della sua tortura), il tutto mosso da un meccanismo azionabile dalla mano dell’uomo. Quando si dice stratificazione di significati.
Location. Castello Sforzesco vs Fondazione Prada. Partita non disputabile. Sarebbe come mettere a confronto Barry Lyndon con Zoolander 2.
Conclusioni. Manfredo Settala batte Goshka Macuga 7-2. La manovella batte l’androide. Ruota dentata batte chip. Legno batte silicone. Diavolo batte Robot. Direct marketing batte social media strategy. Pugno in faccia batte emoticon arrabbiato.