Così, alla fine, ai milanesi toccherà scegliere tra il direttore generale della Moratti (Giuseppe Sala) e il direttore generale di Albertini (Stefano Parisi). Ci sarebbe anche tale Gianluca Corrado, che però alle primarie del suo partito, il Movimento 5 Stelle, non ha neanche raggiunto l’obiettivamente non impossibile quota 72 voti (quella che avrebbe garantito l’investitura) e alla fine si è ritrovato in corsa solo perché la legittima candidata (Patrizia Bedori) si è ritirata e il secondo classificato ha lasciato il partito.
Il panorama, insomma, inutile girarci intorno, è piuttosto desolante. E fa un po’ tristezza pensare che la sfida del prossimo giugno segnerà anche una ricorrenza di quelle che contano: il 70° anniversario dalle prime elezioni dopo la Liberazione. Quella competizione, nel maggio del ’46 – con la città ridotta a un cumulo di macerie ma piena di speranza e fiducia – la (stra)vinse Antonio Greppi. Socialista. Scrittore. Avvocato. Partigiano.

«Il destino non tradisce i giusti» – Quando ricevette quella valanga di voti, Greppi, era già sindaco da circa un anno, nominato dal CNLAI poco prima del 25 aprile ’45. Faceva parte dell’VIII Brigata Matteotti, una delle prime a entrare a Milano. Nel ’39 si era fatto un anno di San Vittore perché sospettato (a ragione) di cospirare contro la dittatura. Venne scelto per guidare Milano perché era l’unico con un minimo di esperienza: era stato sindaco di Angera, il paese sul Lago Maggiore in cui era nato (fu Filippo Turati in persona a convincerlo della necessità di misurarsi con la concretezza di un’amministrazione comunale). E sindaco Greppi lo fu davvero da subito. Racconta lui stesso nel bellissimo “Risorgeva Milano” (un libro che tutti i sindaci, e i candidati sindaco, di Milano dovrebbero tenere sul comodino):
«Prima delle nove [del 27 aprile], ero a Milano, in Municipio, atteso dal Comitato di Liberazione. Dall’Albergo Regina i tedeschi, asserragliati, tiravano su Piazza della Scala. Piovigginava. “Ora – disse Ugo Zanchetta – possiamo tenere la prima riunione di Giunta”».
La politica degli ultimi vent’anni ha una grande fame di “tecnici”: gente con una solida preparazione specialistica e una provata esperienza nel settore privato. Nella primavera del 1945 Milano era in ginocchio: occupata dai tedeschi e dai loro cagnolini fascisti, ricoperta di macerie, senza cibo e senza legna. Eppure a rimetterla in piedi fu una persona la cui dote principale, il settore nel quale eccelleva, era l’Umanità. Uno che al primo posto, sempre e comunque, metteva i “poveri” (uno dei suoi libri più celebri – forse anche per il titolo azzeccato – è “I poveri fanno la storia”). «I poveri hanno fretta», diceva. Ed è tutto in questa semplice frase il suo credo politico, fatto innanzitutto di buonsenso. Greppi lavorava affinché gli ideali divenissero concreta pratica amministrativa (e non il contrario).
Colpa loro – Oggi Palazzo Marino ha circa quattro miliardi di euro di debiti. Nel 2015 ha pagato 280 milioni tra interessi e ammortamento. Generalmente, i primi sei mesi di mandato, vengono spesi dalle amministrazioni a recriminare sulle gestioni precedenti. Una delle espressioni più utilizzate – con varie sfumature – è «hanno lasciato le casse vuote», riferito all’amministrazione precedente. E così sarà anche per la prossima, non si scappa. Nel 1945, quando si insediò la prima Giunta guidata da Greppi, in cassa non c’era davvero quasi niente. Racconta lui stesso, a poche ore dall’entrata in carica:
«Venne il rag. Dallari, direttore della Sepral (la Sezione Provinciale dell’Alimentazione, l’ente del Ministero dell’Agricoltura che amministrava le scorte alimentari in tempo di guerra, ndr) e disse che le scorte di farina erano insignificanti. Boneschi, assessore alle finanze, ci informò della situazione finanziaria. Nella cassa del Comune non c’erano che 4.936.574 lire».
(Giusto per farsi un’idea, nel 1945 lo stipendio medio di un operaio era 11.000 lire e un biglietto del tram costava 4 lire).
Ed ecco le parole che i candidati sindaci dovrebbero mandare a memoria tutte le sere prima di addormentarsi.
«Come fare? – prosegue il racconto di Greppi sulla prima riunione di Giunta – La nostra sorte appariva, in quel niente assoluto, semplicemente tragica; l’impegno superiore ad ogni forza umana. Sarebbe stato facile, e anche giusto, recriminare. Forse qualcuno sentì la tentazione di alzarsi e di premettere che dopo tutto la responsabilità era del fascismo e che nessuno avrebbe potuto onestamente far ricadere su di noi l’insuccesso dei nostri sforzi. Eppure non si udì una sola allusione al passato. Era come se noi l’avessimo lasciato alle nostre spalle da secoli. E io pensavo al “caos” dal quale aveva preso forma la creazione e, un poco farneticando, intuivo la rivincita della saggezza sulla fatalità. Una lunga raffica di mitra ci distolse finalmente dalle nostre riflessioni».
Mentre i tedeschi se ne tornavano a casa e i criminali fascisti che non riuscivano a scomparire venivano giustiziati, la città poté guardarsi allo specchio. E spaventarsi.
- Per le strade di Milano c’erano almeno due milioni di metri cubi di macerie (per farsi un’idea, la capienza di una piscina olimpionica è circa 2.500 metri cubi). 1.400 edifici per abitazioni completamente distrutti. 11.000 “solo” danneggiati (e comunque inagibili). Per un totale di almeno 250mila locali da ricostruire o riparare.
- 2 scuole superiori, 6 elementari, 5 materne distrutte. 35 edifici scolastici gravemente danneggiati. Per un totale di circa 5.000 aule da ricostruire o riparare.
- Alcuni dei più importanti – e belli – edifici pubblici distrutti o gravemente danneggiati, tra i quali: la Scala, il Castello Sforzesco, Brera, la Sormani, Palazzo Marino, Palazzo Reale, l’ex Villa Reale, l’Arena, l’Acquario, il Museo di Storia Naturale, il Poldi Pezzoli, il Vigorelli. Solo per citarne alcuni.
- Alcuni dei più importanti – e belli – edifici religiosi distrutti o gravemente danneggiati, tra i quali Santa Maria delle Grazie (Il Cenacolo si salvò perché protetto da un muro di sacchi di sabbia), Sant’Ambrogio, San Fedele, S.Maria del Carmine, S.Lorenzo. Solo per citarne alcune.
- Alcune delle più importanti fabbriche distrutte o gravemente danneggiate, tra le quali: Alfa Romeo, Caproni, Isotta Fraschini, la Manifattura Tabacchi. Solo per citarne alcune.
- Venti impianti per il pompaggio dell’acqua danneggiati.
- 400 tram distrutti, 200 danneggiati.
- Distrutte 18.000 lampade (su 23.000) dell’illuminazione pubblica.
- Almeno 500.000 metri quadrati di pavimentazione stradale danneggiata.
- Distrutte 50.000 piante sulle 80.000 censite nel 1942.



E questo solo per citare i danni materiali. C’erano poi le persone. Quattrocentomila senza tetto. La fame (si arrivava da un inverno molto duro, in cui le razioni si erano via via rimpicciolite, anche a causa delle requisizioni tedesche, e in cui era già un successo mettere insieme 1.000 calorie al giorno). Le malattie. C’era la disperazione dei lutti, la rabbia delle umiliazioni subite. L’orrore dei ricordi (i corpi dei 15 detenuti politici ammazzati in piazzale Loreto nell’agosto del ’44 e lasciati sul marciapiede tutto il giorno come monito era un’immagine che tanti milanesi avrebbero conservato per anni). Il mercato nero. La criminalità (la città era piena di armi).
Questa era la città che lo scrittore-avvocato Antonio Greppi si trovò a dover rimettere in piedi.
E, nel suo primo discorso radiofonico (una delle sue specialità), con i tedeschi ancora asserragliati all’Albergo Regina, riuscì comunque a dire: «L’Amministrazione Comunale è in condizioni gravi; non dico preoccupanti solo perché la preoccupazione è un attributo della inettitudine e della debolezza».
Si può fare! – Ecco l’elenco dei primi provvedimenti che la Giunta Greppi adottò, ad iniziare dal 27 aprile 1945. Quelli che oggi, più o meno, chiameremmo i primi cento giorni. Chissà, forse ai candidati sindaci potrebbero dare qualche spunto.
- 28 aprile: raccolta di tutti gli autocarri disponibili per avviarli nei centri agricoli dove tedeschi e fascisti avevano accumulato le riserve di grano («Altrimenti la città tra due giorni sarà senza pane»).
- 28 aprile: riattivazione ridotta del servizio tranviario su tutte le linee. («Sarà l’annunzio anche simbolico, del ritorno alla normalità»).
- Primi di maggio: organizzazione di turni notturni della vigilanza urbana: «Da questa sera, pattuglie dei vigili armate percorreranno la città. Devono impedire, a qualunque costo, che si sparga ancora del sangue». La preoccupazione di Greppi era infatti che la spirale delle rappresaglie e delle vendette non finisse più. «Bastarono cinque notti. Dalle decine di vittime, si passò alle poche unità. Poi un mattino Garlaschi (il segretario generale, ndr) entrò nel mio ufficio con un sorriso che prometteva cose buone: “Finalmente nessuno”, disse».
- Istallazione al Brennero di una stazione radio che segnalasse i passaggi dei convogli dei deportati, dei prigionieri, dei reduci. C’erano migliaia di famiglie che in città aspettavo il ritorno dei loro cari e non riuscivano ad avere notizie. «Avevamo raccolto poche decine di migliaia di lire per il finanziamento dell’impresa. Tre partigiani non meno idealisti che esperti vissero lassù di scatole di carne e di pane di fortuna per non so quanti mesi».
- Costituzione di una commissione speciale e avvio dei lavori per la ricostruzione della Scala. «La sera di S. Stefano dell’anno venturo si aprirà regolarmente la stagione d’opera», azzardò qualcuno in Giunta. «E in primavera – disse qualcun altro – ci sarà il concerto inaugurale». Telegramma ad Arturo Toscanini (scappato dall’Italia nel 1931 dopo essere stato schiaffeggiato da un gruppo di fascisti per non aver eseguito “Giovinezza” durante un concerto) per annunciargli l’ambizioso programma. (Il concerto inaugurale, con il grande maestro sul podio, si terrà l’11 maggio 1946).
- Riorganizzazione e finanziamento dell’Ente Comunale di Assistenza, per l’aiuto agli indigenti, agli orfani, agli invalidi.
- Creazione del Fondo Matteotti per il sostegno delle famiglie più colpite dalla guerra.
- Creazione del Fondo Penicillina. La penicillina, salvavita in molti casi, c’era solo alla borsa nera e costava 100mila lire alla dose. Greppi fece un appello alla radio e sui giornali per avere un contributo, anche minimo, da tutti i cittadini. Funzionò. «Da quel giorno il Comune era in grado di fornire penicillina a chiunque ne facesse richiesta con ricetta del medico». (Nel 1948 l’iniziativa verrà replicata con il Fondo Streptomicina).
- Contratto per lo sfruttamento di una foresta di larici e pini in Val Seriana per rifornire di legna le caldaie cittadine (nell’inverno ’44-’45 la maggior parte degli impianti erano rimasti spenti perché senza combustibile. Nei momenti di massimo gelo si utilizzava carta pressata e bagnata). E contestuali «severe disposizioni» per la sorveglianza del verde cittadino (a corto di legna ci si arrangiava con quello che si trovava…).
- Avvio della costruzione delle case popolari e, nel frattempo, realizzazione di case prefabbricate in viale Argonne, via Lorenteggio, a San Siro. Edifici pubblici riadattati a ricoveri per i senza tetto.
- Istituzione della coabitazione: chi disponeva di case grandi era invitato (spesso un invito scritto firmato dalla Prefettura) a condividerla con chi ne aveva bisogno. Una misura che creò molti malumori in città ma che Greppi difese così alla radio: «Si smetta con la retorica dell’intimità famigliare e della pace del focolare domestico, perché è chiaro che le baracche, le cantine, i solai, le scuole, le case minime, e i locali in cui si dorme in ogni angolo del pavimento, quell’intimità e quella pace le conoscono solo nel rimpianto e nell’invidia, ahimè, troppo amari, l’uno e l’altra».
E questo per citare solo le prime cose che fece una delle amministrazioni con più problemi da risolvere e meno mezzi economici che mai si sia vista a Milano. Ci sarebbero da elencare poi i risultati. Tutti straordinari. In un solo anno duecento edifici nuovi, quindici dei quali destinati a case popolari, Scala completamente ricostruita, cinquecento aule scolastiche ripristinate, così come un terzo degli ospedali danneggiati. E questo solo per citarne alcuni. A testimonianza che la libertà di poter lavorare solo per la città e per i suoi abitanti fa miracoli.
Un solo mandato – Nonostante tutto questo Antonio Greppi rimase in carica solo cinque anni. Le tumultuose elezioni del 1951 cancellarono la sua Giunta, benché lui alla fine risultasse il più votato. Il suo socialismo cristiano, il suo buonsenso, la sua profonda e sincera umanità, persino il suo lirismo, poco si adattavano alla nuova stagione che si andava affacciando nella politica italiana, fatta innanzitutto di contrapposizione ideologica.
Una stagione che, come una grande onda che si infrange al largo e giunge a riva ridicolmente innocua, è arrivata fino a noi con le facce degli attuali candidati a sindaco.
Ma Milano è riuscita a essere ben altro. Così, per evitare di essere sopraffatti dalla desolazione, solo per un momento è bello ripensare al sindaco della Liberazione seduto nel suo ufficio in Municipio assediato dai cittadini che gli vogliono parlare.
«”Desidero soltanto un un’ora di pace”, dicevo all’usciere di turno. “Mi difenda a costo della vita”.
La consegna era sempre osservata con esemplare fedeltà. E così nessuno poté mai vedere i segni dello spavento sul volto di un sindaco al quale il destino aveva domandato di compiere più cose di quante non potesse.
Ma c’era sul mio tavolo quel grande ritratto che sino dai primi giorni aveva animato le mie energie e stimolato la mia responsabilità. Erano lunghi, silenziosi colloqui che mi lasciavano spesso gli occhi umidi: ma alla fine, invariabilmente, mi alzavo col cuore in pace.
“Ho forse l’aria di recriminare di essermi sacrificato?” mi diceva il bravo ragazzo con quel suo sguardo che andava lontano. Oh, come lontano.
E allora io avevo vergogna di avere dubitato e qualche volta, anche, mi sentivo straordinariamente giovane».
Quel bravo ragazzo che lo guardava dal ritratto che teneva in ufficio era suo figlio Mario, studente di legge, appassionato di cinema, anche lui partigiano. Ammazzato dalla polizia fascista il 23 agosto 1944, quando aveva 24 anni.

Ancora una cosa – Nel suo ultimo comizio in piazza Duomo prima delle elezioni del ’51, Greppi pronunciò queste parole (il confronto con gli ultimi eventuali tweet dei nostri candidati è riservato solo ai più coraggiosi. E ai più masochisti):
«Lasciate che io vi dica il mio augurio. Possiate essere fortunati, sempre più fortunati, ma non vi conceda mai il destino niente che non abbiate conquistato coi vostri meriti, con la vostra intelligenza e col vostro coraggio. Perché così vuole la dignità democratica per la quale abbiamo cercato di essere, in ogni ora, un esempio onorevole se pure modesto».