I fatti, in estrema sintesi, sono questi: mentre tutti si godevano l’abbacchietto di Pasqua, qualcuno s’è portato via la cassaforte. La vera notizia però è il dove.
In una chiesa.
In questa chiesa:
Il timbro di dio. Il furto è avvenuto nella canonica di San Nicolao della Flue, l’incredibile chiesa del quartiere Forlanini. La dinamica dei fatti e tutti i suoi (eventuali) significati non interessano qui. (Del resto, in parrocchia pare l’abbiano presa con filosofia, come si vede dal giornalino distribuito in chiesa).

Quello che è il caso di analizzare fino in fondo è il disegno folle di questa chiesa, progettata nei primi anni Sessanta da uno dei padri dell’architettura moderna italiana Ignazio Gardella. Non è certo questa la sede per parlare del razionalismo lombardo, delle chiese post conciliari, dell’architettura anti monumentale (ci faremmo due palle così), mentre sarà mia premura analizzare la forma da cui il Gardella è partito per realizzare il suo edificio, la sua ispirazione. Questa:

Il classico timbro di legno che fa tanto ufficio del catasto. (Timbro che, tra l’altro, meriterebbe il Compasso d’oro a Ignoti ideato da Bruno Munari). Le due fotografie qui sotto rendono ancora più evidente il legame tra i due manufatti: insomma, quella di Gardella è, di fatto, una chiesa-timbro.


Ora, la domanda è: perché fare una chiesa che assomiglia a un enorme timbro da ufficio comunale? La risposta più immediata è: perché dio pare abbia creato l’uomo a sua immagine e, visto che ormai la produzione è arrivata a sette miliardi e mezzo di esemplari, il timbro è il mezzo più veloce e, tutto sommato, sicuro. Detto più prosaicamente, Gardella ha reso solida l’espressione “Sembrano fatti con lo stampino”, generalmente riferita a gruppi umani omogenei (in questo caso i credenti cattolici).
Inside out – Questo però solo all’esterno, perché all’interno la musica è davvero tutta un’altra cosa.

La volta del soffitto lascia infatti (quasi) senza parole. Enormi pilastri in cemento grezzo a sorreggere un’infinita serie di traversi.

Un po’ H.R. Giger, un po’ scheletro di una nave, un po’ hangar per aerei (il quartiere Forlanini sorge sull’area del vecchio campo volo Taliedo, a due passi dall’attuale aeroporto di Linate, che infatti è intitolato proprio al genio di Forlanini), un po’ astronave. (Un po’ bara?). Fa quasi paura. In generale, non c’è niente di rassicurante in questo ambiente. Niente, per lo meno, che lasci intravvedere un rapporto confidenziale con dio. Probabilmente chi prega qui dentro dà del lei a dio. La prego signor dio, mi lasci stare.

Va in scena il colpo di scena – Insomma, nonostante la forma di partenza, l’opera di Gardella è tutto tranne che un inno al conformismo. È spiazzante, fa girare la testa. C’è addirittura l’ascensore (mai visto un’ascensore in una chiesa). Un ascensore che però dal piano della chiesa può solo scendere. Quindi un discensore (anche se nei due piani inferiori ridiventa ascensore. Ponendo così, in maniera piuttosto subdola, la questione relativa al relativismo). Con tutti i significati, simbolici e non, annessi e connessi.

Ma, come in un vero film horror, il colpo di scena aspetta l’ingenuo spettatore nelle tenebre del sotterraneo. (Di solito è una vecchia caldaia, un angolo buio della lavanderia, qualche baule impolverato, un buco nel pavimento, un locale segreto chiuso da catenacci arrugginiti). E anche qui è nel piano meno uno che arriva la terribile scoperta.
Nel caso specifico, un teatro da quasi 500 posti: il Teatro Delfino.
Già, le fondamenta di San Nicolao della Flue sono fatte così:

Una bellissima sala di velluti e moquette rossi che ricorda fin troppo alcuni ambienti dello “Shining” di Stanley Kubrick. Questo per esempio (che poi è dove avviene il passaggio di consegne tra l’ottimo mister Grady e il povero Jack):

Sei bellissima – Proprio come la casa della famiglia Freelings (che, per inciso, in italiano suonerebbe tipo la famiglia Merluzziliberi) in “Poltergeist” era costruita su un cimitero indiano, la chiesa di San Nicolao della Flue sorge sopra un teatro kubrickiano, anzi la chiesa ne è, di fatto, il tetto. Ne deriva quindi che Dio crea (e poi plasma, o plagia, a seconda delle opinioni) l’uomo a sua immagine e somiglianza e lo fa tramite un timbro, la chiesa. Questa chiesa però è tutt’altro da quello che sembra all’esterno. Dentro è tutta un’onda, un movimento, un mal di mare. Una nave rovesciata che punta la pancia verso il cielo e fa di chi ci capita dentro – un po’ come la povera Alice dopo aver attraversato lo specchio – un naufrago all’incontrario. E sotto tutto questo – cuore pulsante di tutta la struttura – un teatro/cinema rosso sangue. Che è stato per anni chiuso al pubblico (la riapertura è avvenuta solo nel 2012) e ha funzionato come sala prove segreta per gente come Adriano Celentano, PFM, Camaleonti, Fausto Leali e Loredana Bertè.
Pruderie agiografiche – Per finire, diamo un’occhiata al santo titolare di questa chiesa: San Nicolao di Flüe (Niklaus von Flüe). Che è in pratica una versione mistica da alta montagna del classico «Cara, esco a prendere le sigarette». Il buon Nicola (contadino di Flüeli-Ranft, sperduto paesino nel centro della Svizzera dove, a proposito di Overlook, sorge tuttora l’hotel Paxmontana) è infatti passato alla storia perché, poco dopo la nascita del decimo figlio (il decimo figlio), una bella mattina d’ottobre del 1467 si alzò dal letto e disse alla moglie Dorotea che, beh insomma, gli era arrivata una chiamata divina. E che, come dire, sì insomma, lui proprio doveva andare. «Vabbè, e quando torni? Che sono anche finiti i pannolini».
«Come ti dicevo, appunto, è una chiamata divina… quindi…».
«Ok, però ricordati di passare dal panettiere».
«Ma… Va bene. Ciao». Non tornò più. I seguenti venti anni li passò in un eremo solitario. E tanti saluti. (Eggià – cari amici anticlericali – a lui la santità e a quella poveraccia della moglie neanche un Telegatto).
Ah, San Nicolao di Flüe è anche il santo patrono della Svizzera.
