Billie chi? Billie Gin

Nel novembre del 1958 arrivò a Milano per un paio di concerti un’artista che ha segnato per sempre la storia della musica non soltanto jazz. Aveva solo 43 anni ma aveva già vissuto almeno dieci vite: orfana maltratta, vittima di stupro, detenuta. E infine, dai diciott’anni (!), cantante. Era stata la sua fragile, bellissima, voce a salvarla. La notò nel 1933, mentre si esibiva in un locale di Harlem,  John Hammond (uno che se ne intendeva abbastanza: più tardi scoprì, tra gli altri, Bob Dylan, Aretha Franklin e Bruce Springsteen). Iniziò così una carriera che trasformò la violenza e la disperazione in arte. E cambiò per sempre il modo di cantare il jazz. Aprì nuove sconfinate possibilità espressive. Arrivarono l’orchestra di Benny Goodman,  il piano di Count Basie, il clarinetto di Artie Shaw, il sassofono di Lester Young e Coleman Hawkins, la tromba di Louis Armstrong e Roy Eldridge. 

IL FINIMONDO – Nel novembre del 1958 arrivò a Milano Billie Holiday, un nome che solo a sentirlo mette i brividi. Adesso, anche ai non appassionati, l’idea di poter assistere dal vivo al compiersi del miracolo della sua voce fa venire le vertigini, è una cosa che sembra appartenere più alla dimensione del sogno che a quella della realtà. Eppure successe. Nel ’58 la sua carriera non era certo nella fase ascendente, ma era pur sempre un nome di prima grandezza del firmamento jazz. Non per tutti, però.


Venne ingaggiata per due spettacoli allo Smeraldo. E ficcata in un cartellone zeppo di numeri da avanspettacolo (pare ci fossero anche dei giocolieri in programma). C’era anche un grande della canzone napoletana come Franco Cigliano. Non andò bene. Non andò affatto bene.

Racconta Arrigo Polillo nel suo “Stasera Jazz”: «Quando è entrata in scena e ha iniziato a cantare accompagnata dall’eccellente pianista Mal Waldron e da un’orchestrina di fossa su cui è persino inutile infierire, è successo il finimondo. La voce acre, le inflessioni volutamente distorte di Billie sono state scambiate per il farfugliamento di un’avvinazzata: si è capito subito che non sarebbe stato possibile giungere al termine del “numero” e men che meno della scrittura. Billie aveva appena terminato la quinta canzone che fu pregata, dal presentatore, di lasciare il palcoscenico (su cui non ricomparve più perché fu protestata): al pubblico fu detto che “non stava bene”».

billie-holiday-imnotagroupie-5

Insomma, una delle più grandi cantanti jazz della storia scambiata per un’ubriacona qualsiasi. E trattata di conseguenza.

Ma, in fondo, cosa potevano fare un branco di bestioni in un teatro di Milano a una donna la cui biografia inizia così:

«Sadie Fagan (sua madre. Il vero nome di Billie era Eleanora Fagan, ndr) mi volle bene fin da quando non ero per lei che un mucchio di calci nelle costole mentre strofinava pavimenti. Andò all’ospedale e si mise d’accordo con la direttrice. Le disse che per pagare l’assistenza per sé e per me era disposta a pulire per terra, per un certo periodo, e che avrebbe fatto la serva anche alle altre bagasce che andavano lì a partorire. Quel mercoledì 7 aprile 1915, quando io nacqui, la mamma aveva tredici anni».

E questa è, in pratica, la parte felice della sua biografia.
Cosa potevano fare un branco di bestioni in un teatro di Milano a una donna alla quale, appena dodicenne, toccò di denunciare una violenza sessuale: il suo aggressore fu arrestato, ma in cella (in un riformatorio di Baltimora) finì anche lei.
Cosa potevano fare un branco di bestioni in un teatro di Milano, a lei, la prima artista a denunciare apertamente la violenza della discriminazione degli Stati Uniti con quel capolavoro che è Strange Fruit (è vero, non scritta da lei, ma da lei interpretata come se sgorgasse direttamente dalle budella), un cazzotto in piena faccia al pubblico di bianchi (gli unici neri ammessi nei locali erano i musicisti e i camerieri) che affollavano i locali di New York e compravano i dischi di jazz. Una canzone che parla di due ragazzi di colore, Thomas Shipp e Abram Smith, massacrati di botte e impiccati a un albero di Marion, Indiana, nel 1930. (Si calcola che, tra il 1889 e il 1949, negli Stati Uniti, vennero linciati 3.833 afroamericani).

thomasshippabramsmith
I cadaveri di Thomas Shipp e Abram Smith (Marion, Indiana, 1930)

Gli alberi del Sud producono uno strano frutto,
sangue sulle foglie e sangue alle radici,
un corpo nero che ondeggia nella brezza del Sud,
uno strano frutto che pende dai pioppi
Una scena pastorale nel valoroso Sud,
gli occhi sporgenti e la bocca storta,
profumo di magnolia dolce e fresco,
e d’improvviso l’odore della carne che brucia.
Qui c’è un frutto che i corvi possono beccare,
che la pioggia inzuppa, che il vento sfianca,
che il sole marcisce, che l’albero lascia cadere,
qui c’è uno strano e amaro raccolto
(Strange Fruit, 1939)

LA PEZZA – Per fortuna, ci pensarono poi gli appassionati di jazz milanesi a mettere una pezza sulla brutta pagina scritta allo Smeraldo.

Ancora Polillo: «La sera dopo tre o quattro suoi ammiratori, tra i quali c’ero anch’io, si recarono all’Hotel Duomo, dove Billie era alloggiata, per confortarla in qualche modo e per offrirle qualche distrazione. Lei ci fu riconoscente e accettò volentieri la nostra compagnia per la serata. L’accompagnammo alla Taverna Messicana per sentire un po’ di jazz nostrano, poi andammo tutti a casa di Mario Fattori, pubblicitario innamorato del jazz, a bere qualcosa e a chiacchierare.
Billie, si sa, era schiava delle droghe pesanti, e non era di grande compagnia: di tanto in tanto la sorprendevo a fissare intensamente il vuoto o qualche punto del muro […]. Per il resto, rispondeva alle domande che le venivano rivolte, ma non faceva certo conversazione. Era una donna amara, risentita: non ricordo di averla mai vista sorridere».

billie holiday holding glass

A PROVA DI BAMBINO – Bisognava trovare un modo di cancellare l’umiliazione dello Smeraldo, l’incubo di quella vergogna, e dimostrare quanto i jazzofili meneghini se ne intendessero e apprezzassero la sua musica. Così, gli appassionati si organizzarono e affittarono l’unico teatro disponibile. Che però era il teatro Gerolamo. Cioè quello che fino a qualche mese prima era stata la casa della famiglia Colla. La Scala delle marionette. Un centinaio di posti occupati, da sempre, da sederi piccoli piccoli. Quelli dei bambini. (Un teatro progettato nel 1868, primo esempio in Europa di teatro espressamente pensato per i più piccoli. Autore del progetto, manco a farlo apposta, quel Giuseppe Mengoni di cui parliamo diffusamente qui).

678_0_1765902_25994
Ingresso del Teatro Gerolamo (1946)
678_0_1765913_25994
Proscenio del Teatro Gerolamo
678_0_1765909_25994
Spettacolo di marionette nel Teatro Gerolamo

Ecco di nuovo Polillo: «Quella sera le strutture del teatrino furono messe a dura prova dalla folla che lo riempì: eppure le balconate “a prova di bambino” ressero bene. Quanto a Billie, si impegnò a fondo, e diede uno splendido, commovente, recital. Il pubblico le tributò ovazioni trionfali. In quel teatrino così piccolo ciascuno aveva l’impressione di poterla abbracciare. E sembrava che volesse farlo».

La povera Billie, malata di cirrosi epatica, morì a New York qualche mese dopo il suo ritorno da Milano (tra l’altro, una volta tornata a casa, venne arrestata in ospedale per possesso di stupefacenti e piantonata fino a quando non decise che era ora di raggiungere la sua adorata e disperata mamma, morta sedici anni prima, accanto alla quale chiese di poter essere seppellita). E chissà che impressione le rimase della città. Che prima la rifiutò e umiliò cacciandola dal palco dello Smeraldo e poi le tributò un caloroso e surreale omaggio. Nel teatro delle marionette.

PER VOI ALTRI, AMANTI DELLA POLEMICA – Il Teatro Gerolamo è di proprietà di quello che resta della famiglia Ceschina, la cui ultima erede (divenuta tale dopo estenuante battaglia legale) era lei:

Yoko-Nagae-Ceschina-foto-Michele-Crosera
Yoko Nagae Ceschina

La contessa Yoko Nagae Ceschina arrivò in Italia nel 1960 per studiare arpa. Nel nostro Paese trovò invece l’amore. Quello del conte Renzo Ceschina, figlio di Gaetano, proprietario di terreni e immobili sparsi in tutta Italia (pare sia stata una vera impresa ricostruire l’intero patrimonio), parte dei quali ricevuti direttamente dallo Stato come ricompensa delle forniture sanitarie all’esercito. La contessa (grande mecenate musicale, conosciuta in tutto il mondo: in nome della pace tra i popoli è riuscita, tra le altre cose, a far esibire la  New York Philarmonic Orchestra a PyongYang nel 2008) è morta a gennaio del 2015, lasciando di fatto libera l’immobiliare di famiglia, la Sanitaria Ceschina, di fare quello che vuole con lo sterminato patrimonio, ma perdendosi “l’inaugurazione” del nuovo Teatro Gerolamo. Già, perché il gioiellino di piazza Beccaria, chiuso dal 1983 perché privo di uscite di sicurezza, è stato restaurato. Tanto che l’assessore alla Cultura Filippo del Corno, l’8 marzo scorso, così si sbilanciava su Facebook:

Schermata 06-2457548 alle 18.37.44

Effettivamente l’espressione “qualche settimana” pronunciata in piena campagna elettorale può voler dire qualsiasi cosa, è quindi piuttosto normale che il 9 giugno (12 settimane dopo l’annuncio) il teatro si presentasse ancora così:

foto 1-9
Ingresso del teatro Gerolamo (9 giugno 2016)

Poco male perché dopo ancora “qualche” settimana (35 per l’esattezza) l’apertura è arrivata davvero: il 10 novembre.

L'insegna del Teatro Gerolamo
Ingresso del Teatro Gerolamo (10 novembre 2016)
Concerto teatro gerolamo
LaBarocca, ensemble dell’Orchestra Verdi, durante il concerto inaugurale del “nuovo” Teatro Gerolamo (10 novembre 2016)

Lascia un commento